LE FRASI CHE HO SOTTOLINEATO LEGGENDO IL ROMANZO DI DANIELE CAPPATO "CREDERE ANCORA A BABBO NATALE" (QUI LA RECENSIONE DEL LIBRO).
La tua domanda più che legittima
potrebbe essere: “Ma perché torni a scrivermi proprio ora, dopo
tutto questo tempo?”
La risposta è più semplice di quanto
tu possa pensare: come avrai ormai capito sono convinto che tu esista
davvero. E non sono il solo.
Caro Babbo Natale,
non sai quanto ti invidio, tu che ogni
anno giri il mondo in una notte, mentre io, in ventinove che ci
provo, ho ancora così tanti posti da vedere.
Ed ecco qui il mio desiderio per
quest’anno: dopo aver visto il punto più a Ovest d’Europa ti
chiedo un viaggio alla ricerca del punto più a Ovest del pianeta, un
viaggio senza fine inseguendo il tramontare del sole.
Ormai quasi trentenni la mia ex
ragazza, io, gli amici di sempre siamo partiti come biglie impazzite
ognuno per la propria tangente. Mi chiedo se sono io che non voglio
crescere o se sono gli altri che vogliono crescere troppo e subito.
A volte mi sembra di comportarmi come
un diciottenne, altre volte come un quarantenne e questa miscela di
sentimenti cambia neanche di settimana in settimana, ma di giorno in
giorno se non di ora in ora.
Caro Babbo Natale forse è chiederti
troppo, ma un briciolo di consapevolezza me lo puoi mica far trovare
sotto l’albero?
Vedi caro Babbo Natale, trent'anni è
quella età in cui si è o troppo giovani o troppo vecchi, troppo
giovani per una posizione di rilievo in ufficio, troppo vecchi per un
posto da stagisti, troppo giovani per avere un figlio, troppo vecchi
per non avere una relazione stabile, troppo giovani per essere
considerati adulti, troppo vecchi per comportarsi ancora da
adolescenti: la difficoltà è tutta lì, decidere se siamo troppo
giovani o troppo vecchi. Ed è forse per questo che ti scriviamo:
siamo troppo grandi per credere a Babbo Natale, ma troppo piccoli per
smettere di credere alle favole.
Desideriamo, ardentemente vogliamo,
quello che ci aspettavamo di ottenere e che ancora non abbiamo avuto:
senza neanche chiederci se lo meritassimo sul serio, lo pretendiamo
con infantile arroganza e quando ci accorgiamo di non poterlo avere,
scriviamo a te, sperando che fossi davvero tu e non mamma e papà ad
aver messo tutti quei regali sotto l’albero quando eravamo bambini.
Consci dell’assurdità della cosa,
più semplicemente ci prendiamo mezz'ora per pensare a noi stessi, a
quello che siamo, a quello che ci manca, mentre a te chiediamo due
minuti di tempo per leggere i nostri sconnessi pensieri e magari
qualche consiglio.
Regalaci una pacca sulla spalla, una
parola di incoraggiamento, un sorriso amico. Alla fine, forse, non ci
serve tanto di più.
Abbiamo le ore contate in questa vita,
anche se spesso non ce ne rendiamo conto e viviamo come se non
dovesse finire mai, come se prima o poi arriverà il giorno in cui
faremo tutto quello che abbiamo rimandato e invece l’unico giorno
che arriverà sarà quello in cui ci renderemo conto che il tempo che
credevamo infinito si è quasi esaurito. E sono incominciate a
venirmi in mente mille domande, come quando si rompe una diga e un
fiume in piena investe tutto quello che c’è a valle. Quanto tempo
della mia vita ho speso inutilmente, quante cose avrei potuto fare se
mi fossi organizzato meglio, quante serate in ufficio mi sarei
risparmiato per stare con me?
Incredibilmente libero come un’aquila
di volare nel cielo, voglio tornare in gabbia, ma che ci vuoi fare?
Alla fine l’idea di svegliarmi al mattino abbracciati ad una
persona speciale è quella fra tutte che mi fa stare meglio. Bene,
vedi se nella tua fabbrica di giocattoli esiste un modello di donna
perfetta o una pozione magica per farmi innamorare, di nuovo.
Forse il “per sempre” è la
debolezza di un momento, la spossatezza di vivere, il punto in cui ci
si arrende, ci si accontenta e si inizia a gioire di quello che si
ha.
Anzi partiamo proprio dal perché. La
mattina mi alzo e vado a fare il mio compitino in ufficio, quasi
sempre con convinzione, quasi mai con soddisfazione. Bene che faccia
le cose sarò sempre un dipendente, bene che raggiunga gli obiettivi
sarò sempre un ingranaggio sostituibile del sistema. Male che vadano
le cose lo stipendio mensile lo porto a casa, male che faccia il mio
lavoro pochi se ne accorgerebbero e meno ancora protesterebbero.
[...] Vorrei aprire un’attività mia per alzare la posta sul
tavolo, per rischiare di vincere qualcosa in più, per assaporare il
brivido che si prova a plasmare un’idea.
Il sogno è che quell’obiettivo così
indefinito diventi chiaro così come la strada per raggiungerlo.
Il dono che mi lascerebbe soddisfatto è
la capacità di godermi il mio presente.
Il regalo utile è l’ironia per
evitare il rimorso di tutto quello che non sono riuscito a fare e che
non recupererò mai.
Ma tranquilli ragazzi la colpa non è
solo vostra, parte della responsabilità è anche in quello che vi
circonda. Io stesso, stavolta parlo sul serio, ho ceduto qualcosa al
consumismo dei tempi moderni. Sarà l’età, saranno quei giocattoli
elettronici giapponesi che tanto fanno impazzire i bambini, ma a
volte rimpiango quando la mia slitta era piena di tanti di quei
cavalli a dondolo in legno che a ogni curva rischiavo di ribaltarmi e
rovesciare tutto.
Abbiamo perso e mi ci metto dentro
anch’io, un po’ di quella ingenuità che ci faceva giocare per
ore con una macchinina che manco aveva le portiere, di quella
fantasia che ci permetteva di costruire castelli con quattro
mattoncini colorati, di quella felicità nel rincorrere un pallone
sul prato.
Ragazzi ve lo chiedo io un regalo per
una volta: non prendetevi troppo sul serio, ritornate un po’
bambini e siate felici, godetevi ogni momento e lasciate chimere,
invidie, preoccupazioni lontano dai vostri cuori.
Voltarsi e vedere il nulla. Cosa ho
fatto nella mia vita? Paura del vuoto. [...] Paura di vivere per il
futuro, di decidere in funzione di un futuro che si assottiglia
sempre di più fino a che un giorno diventerà presente. E in quel
giorno paura di capire che il presente era quello da vivere mentre il
futuro era quello da sperare di vivere.
A trentadue anni suonati è ora di
smetterla di giocare a fare il soldato: o si è diventati generali o
si cambia mestiere.
Caro Babbo Natale,
arriva un’età in cui si smette di
pensare a sé stessi. Sarà la noia di quel chiodo fisso che è
misurare i propri successi, sarà che finalmente sono maturato
anch’io, ma le domande che mi hanno riempito la testa per decenni,
cosa voglio diventare, di cosa ho bisogno, cos’è la felicità,
eccetera perdono significato.
Arrivato a 33 anni, accettare quello
che sono senza rimpianti, prendere coscienza del mio essere è un
passo obbligato.
Se volete leggere i miei pensieri sul libro vi rimando a questo post!
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