Piccoli Gesti 2017, cap.2: #lamiabuonastella

Continua il mio percorso interiore, guidato da Enrica Mannari; continuano quei Piccoli Gesti che in questo anno mi aiuteranno con colori, lettere e immaginazione, a mettere a fuoco potenzialità e limiti.

La prima puntata di gennaio è qui, con il suo zoom al centro del cuore.
A febbraio, dopo aver riempito il cuore di cose belle appunto, Enrica ci ha spinto a guardare in su, o forse ancora più dentro di noi, fino al nostro cielo, costellato di stelle più o meno luminose alle quali ci ispiriamo, durante il nostro cammino.

Quella che segue è la mia buona stella di questo anno, che presuppone molto, moltissimo, lavoro da parte mia.

Autostima, ecco la mia cometa in questo 2017.

Sono brava, sono bella, sono intelligente. Sono brava, sono bella, sono intelligente.
Ahah, a parte gli scherzi. Non è a questo che mi riferisco quando parlo di autostima.

Penso a tutte quelle volte che me ne sto zitta, perché penso che magari gli altri pensano che quello che ho da dire sia solo una cavolata.
Penso a tutte quelle volte in cui mi dicono che faccio cose belle e io sorrido, abbasso gli occhi, dicendomi che non salvo vite umane e in fin dei conti, ancora una volta, faccio solo cavolate.
Penso a tutte quelle volte in cui sento che mi piacerebbe prendere un treno e andare, che ne so, a Torino, ma ho paura di perdermi, che in fondo io sarei come Heidi a Francoforte.
Penso ai momenti in cui mi piaceva un ragazzo, mi facevo bellissimi film mentali in testa, ma solo quelli. Nella realtà, lo sapevo, io non gli sarei mai piaciuta.
Penso alle volte in cui a scuola non alzavo mai la mano, anche se tendenzialmente ero preparata.

Se oggi la mia buona stella DEVE essere l'autostima so che la causa risale a ieri.

A quel ieri in cui non facevo della mia stranezza un tratto distintivo e di originalità, ma soltanto un vuoto rispetto agli altri, da riempire esattamente come facevano loro, per essere una di loro, uguale uguale, accettata e non presa in giro.

La normalità mi attraeva molto una volta.

Quando andavo a scuola con la treccia, prima che le trecce diventassero di moda, e per questo mi prendevano in giro. 
Quando avrei voluto genitori impiegati anziché contadini, perché anche per questo mi prendevano in giro alle medie.
Quando avrei voluto avere meno ciccetta addosso, per non sentirmi un cesso totale in quegli anni lì.
Quando studiavo ed ero sempre solo una secchiona.
Quando volevo essere tutt'altro: una ragazza alta, magra, con le magliette scollate e i capelli lisci, svogliata e ignorante, con una casa in un appartamento anziché in campagna.
Come tutti.
Essere normale. 

Com'ero stupida.

Oggi mi prenderei a schiaffi per quello che pensavo allora.
Ho iniziato a crescere davvero (ma solo un po', sia chiaro) nel momento in cui ho cominciato ad accettarmi.
Io, il mio amore per i libri, la mia indifferenza ai sabati in discoteca.
Io, coi capelli ricci che lego sempre, la terra da cui non voglio più scappare, la mia ciccetta che tutto sommato è distribuita in modo uniforme sul mio corpo.

Io. 

Mi voglio bene, oggi. 
E lo rivendico spesso, adesso, che mi voglio bene, anche a costo di sembrare presuntuosa ed egoista; lo faccio proprio perché io so che non è stato sempre così.
Mi voglio bene, anche se non sono normale.
E normale, poi, che cos'è?
Anche se nel cuore alberga il bambino insicuro e fragile che siamo stati, possiamo imparare a prendercene cura. Possiamo guardare al passato provando tenerezza per noi stessi. Se mettiamo bene a fuoco le cose, non ne siamo usciti poi tanto male. E ce lo meritiamo, di volerci bene!
Concludo questo post confidenziale e introspettivo citando le parole di Patrick de @illatofrescodelcuscino, che ha disegnato la card della foto precendente, anch'essa legata al progetto dei #piccoligesti2017 di Enrica Mannari.

La sintesi non è il mio forte, credo sia chiaro, come spero sia chiaro, in questo mare di parole, che ho tutta l'intenzione di impegnarmi per volermi ogni giorno più bene.

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