Quello che le mamme non dicono • Frasi

Le frasi che ho sottolineato leggendo Quello che le mamme non dicono di Chiara Cecilia Santamaria (qui la recensione del libro).

Potrei dire che l'ho desiderata per una vita, sognata per nove mesi e amata  dal primo istante. Però non è vero. 
Io sono quella che si racconta in giro che "Oh, è rimasta incinta". Quella.

Mi chiedevo come fossero, prima, quelle donne. Intendo: cosa facessero, che gusti avessero, cosa sognassero di realizzare prima dei nani. Tutta quella roba, dove l'avevano lasciata? Perché non ne traspariva nemmeno un po'. Mi chiedevo se avessero ancora tempo per "essere quello che erano", se da qualche parte, sepolto sotto pannolini e bavaglino sporchi, avessero conservato almeno un po' di loro stesse. 
I bambini sembravano prendersi tutto: tempo, attenzioni, pensieri. Non una che parlasse di un film al cinema. Di serate. Di amici. Di follie.

La mamma è un sacrificio umano. Si immola buttandosi a pesce senza un attimo di esitazione, e questo va anche bene in casi limite, ma prenderla come regola di vita mi sembrava eccessivo. Insomma, la Bibbia della Buona Madre dice che è buono e giusto sacrificare alla causa: la propria vita sociale, la propria depilazione, i vestiti sexy, le amiche single, i viaggi in coppia, le seratine romantiche, le maratone del sesso, il proprio lato scemo e infantile, un tot a scelta dei propri sogni. Se si inizia a recitare il karma "mio figlio riempie la mia vita, non ho bisogno d'altro" si vince il paradiso delle mamme, un luogo dove si può dormire anche 7 ore di fila senza essere svegliate e dove le tate crescono sugli alberi.
La domanda era: perché?

Sembrava quasi che diventare genitrice volesse dire rinunciare a tutta la parte divertente. O meglio: l'idea era che, una volta avuto un figlio, ciò che si era state prima si diluisse in silenzio in una quotidianità spersonalizzante, pacata, rassegnata.
La prima regola che mi sono data era: se divento mamma, devo portarmi dietro me stessa per intero. 
Avrei fatto convivere pacificamente perizomi e pannolini, Mojito e Mellin, Pampero e Pampers. Ma soprattutto, me e il pupo.
Non sarei stata una di quelle non-madri, che pretendono di vivere come pischelle anche coi sette nani in casa. Ma nemmeno labravamamma, quella che implode intorno alla creatura e fa tabula rasa di se stessa.
La paura, incredibilmente, era uno spiraglio. Non mi sentivo pronta oggi, ma dentro di me qualcosa mi diceva che non mi sarei mai sentita pronta, nemmeno in quel futuro in cui avrei desiderato un figlio. Per quelle come me, attaccate alla propria libertà coi denti, scoprirsi incinta è mettersi davanti a uno tsunami esistenziale a 20 come a 40 anni.

Quando pensavo alla nana ero contenta, avevo voglia di vederla crescere, sapevo che sarebbe stata una cosa bellissima. Ma al tempo stesso mi chiedevo cosa ne sarebbe stato di me. Non sapevo assolutamente a cosa stessi andando incontro. Mi chiedevo se e quando avrei potuto sentirmi di nuovo così felice, così piena di possibilità come quel giorno.

Peccato, non ricorderà la sua nascita, il suo primo respiro, il modo in cui l'avrei tenuta tra le braccia. I nostri sorrisi attorno a lei.
Non ricordiamo mai il periodo della vita in cui siamo più amati in assoluto.
Forse, se così fosse, non avremmo bisogno di cercare l'amore per il resto della nostra vita.

Dentro di me ospitavo delle continue guerre civili psicologiche. Mi prendo cura della mia bambina e voglio farlo, davvero. Ma allora com'è che al tempo stesso vorrei scappare, far finta che nulla di questo sia successo, ricominciare la mia vita com'era prima? 
So per certo che sono stati quei giorni estenuanti e caldissimi in cui si è trasformata da neonato a persona e forse in cui, al tempo stesso, io ho iniziato a sentirmi mamma per davvero. C'erano notti in cui si dormiva a dir tanto due ore, e al mattino per non strangolarla dovevo prendermela con un cuscino, ma poi c'erano momenti in cui la mettevo nel letto per disperazione, e allora sentivo la forma calda del suo corpicino, le sue manine che cercavano il mio viso e si incastravano nei miei capelli, il suo respiro caldo che odorava di panna e di labbra.
Era incredibile che cercasse me. Me, che avevo tentato soltanto di scappare dal mio ruolo. Che ancora preferivo scaldare cinque secondi al microonde un omogeneizzato invece che cuocere carne al vapore. Che dicevo vagonate di parolacce tra i denti. Che coltivavo costantemente fantasie di fuga.
«E che però sei qui, non te ne sei andata. Vedi, è per questo che ti ama» mi diceva Lui quando gli parlavo dei miei dubbi.
Ero divisa tra la fatica di quel periodo, che avrei voluto attraversare il più velocemente possibile e con gli occhi chiusi, senza soffermarmi un attimo su un solo passo, e il desiderio di essere lì per lei. Di tenerla stretta, di sentire il modo in cui si aggrappava a me, e di essere abbastanza forte da sostenerla. Sempre.
Non volevo lasciare che la mia debolezza le rovinasse la vita. Scoprivo che, anche se fare la madre non era mai rientrato tra i miei desideri, per lei volevo esserlo.
Desideravo essere la madre di mia figlia. Un pensiero così scontato da risultare nuovo, per me.

Capivo che per rendere felice la Polpetta dovevo prima di tutto essere una persona felice, e se per esserlo dovevo mantenere dei margini di libertà, allora libertà e maternità avrebbero trovato necessariamente un equilibrio.
Smettevo finalmente di dibattermi per la mia vita come un'anguilla in un vaso. Poggiavo i piedi per terra. Camminavo finalmente avanti, invece che in cerchio. E scoprivo che solo riconquistando la me stessa che amavo, iniziavo a scoprire davvero l'amore per mia figlia.
Se volete leggere i miei pensieri sul libro vi rimando a questo post! Buona lettura

1 comment

  1. So che la maternità surrogata è legale in Ucraina. Vorrei condividere con voi l'articolo legge che ho trovato in rete poco tempo fa, e interessantissimo: https://maternita-surrogata-centro.it/maternita_surrogata.pdf. Visitate il sito della clinica del professor Feskov.

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